Il bello della nostra cultura: curiosità e aneddoti sui modi di dire italiani

Quante volte ci capita di utilizzare curiose espressioni come, ad esempio, qui gatta ci cova”, oppure mangiare a ufo“? Tante, certamente, ma senza averne ben chiaro il significato. Tutti noi quando parliamo, senza quasi accorgercene, siamo soliti usare un’infinità di espressioni idiomatiche, modi di dire coloriti, fantasiosi, figurati, dei quali ignoriamo totalmente l’origine. Questo è il bello della nostra ricchissima lingua italiana, della nostra cultura e storia che la sostengono.

Nella nostra cultura, alcune espressioni significano molto

Il bello della nostra cultura si esprime anche nei modi di dire
Il bello della nostra cultura si esprime anche nei modi di dire

Spesso, infatti, ci capita di dire che una persona “non ci va a genio“, o che non “vediamo l’ora” di riabbracciare i nostri cari? Quale significato hanno le frasi rendiamo pan per focaccia, “diamo una mano”, “partiamo in quinta” o “non capiamo un tubo”? Il popolo italiano è famoso in tutto il mondo per la sua vivacità, dunque ripone la stessa vitalità anche nel linguaggio con il quale si esprime.

Certo, si tratta di una caratteristica che non appartiene solo alla nostra cultura: nell’essere umano è insito il bisogno di rendere i concetti che vuole esprimere tramite metafore, evocazioni, simboli che possano stabilire una traccia emotiva, oltre che logica, con il suo interlocutore. Infatti si finisce per capirsi meglio, pronunciando anche solo una parolina, che nell’immaginario di entrambe le parti evoca tutta una serie di sensazioni definite, invece di limitarsi a una fredda e oggettiva descrizione del reale.

Si tratta di realismo anche nel primo caso, ovviamente, ma è molto più variopinto, poetico, tradizionale. Facciamo dunque luce su alcuni di questi idiomi italiani, scoprendo aneddoti, divertenti casi storici, fraintendimenti e grandi sviste popolari, ignote a gran parte dei “parlanti”.

Il significato dell’espressione “a ufo” ha radici molto antiche

L’espressione “a ufo” deriva dalla locuzione latina “ad usum fabricae” (ovvero, destinato a essere utilizzato nella fabbrica) abbreviato in AUF. Una parola che veniva usata per contrassegnare i beni esentati dal dazio, perchè, ad esempio, destinati a opere della Chiesa cattolica.

Un caso particolare è quello del Duomo di Milano, i cui pesanti blocchi di granito, provenienti dal lago maggiore, recavano appunto la scritta AUF. I barconi, appesantiti dal marmo, erano talmente lenti e impacciati lungo il percorso che da loro derivò l’espressione “auf” (poi “uffa”) per definire una situazione noiosa ed esasperante, in cui bisogna essere pazienti anche se si ha fretta.

In toscano lo stesso modo di dire significa “gratis”. L’origine è simile al caso precedente: “Ad usum Florentinae Operae”. Così doveva essere scritto sui materiali che da tutta la Toscana arrivavano all’Opera del Duomo. Il perchè è semplice: dai marmi di Carrara ai legnami del Casentino, tutto quello che era destinato alla grande fabbrica era esente da tasse. Solo che scrivere per intero la frase era scomodo, data la fretta.

Un salvacondotto efficace

Per questo si decise di abbreviarla in “A UFO”. La formula accorciata diventò un salvacondotto rapido ed efficace. Compariva sui marmi, legnami, ferro, corde e quant’altro serviva all’Opera. Un colpo d’occhio e le sentinelle alle porte e ai caselli del dazio lasciavano passare il carico. Non c’era bisogno di controlli, perchè tutto quello che andava al Duomo era “sacro”.

Inutile dire che la trovata colpì la fantasia del popolo. E “a ufo” divenne un modo di dire per indicare tutto ciò che si otteneva senza tirar fuori un soldo: mangiare a ufo, dormire a ufo, viaggiare a ufo. Una gamma infinita di possibilità, nelle quali sguazzava l’eterna categoria degli scrocconi.

Fonte: http://www.impariamoitaliano.com/frasi.htm

/ 5
Grazie per aver votato!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *