Era la pianta più sacra per il popolo dei Druidi, che la ritenevano dotata di grande poteri poiché vive attaccata al tronco degli alberi, senza affondare radici nella terra. Il testo più antico al riguardo è di Plinio, che racconta i rituali legati alla sua raccolta (in caso di necessità, ma solo dai sacerdoti vestiti di bianco, a piedi nudi, digiuni e tagliata con un falcetto d’oro). Se ne parla anche nell’Eneide di Virgilio, dove pare che il vischio fosse proprio il “Ramo d’Oro” usato da Enea per scendere nell’Ade, sacro a Proserpina.
Insieme al pungitopo (il nome di quest’ultimo trae origine dall’antica usanza contadina di proteggere formaggi e salumi dai topi, utilizzando mazzetti pungenti della pianta). Oggi noi consideriamo il vischio legato solo alle feste natalizie e al Capodanno, quando confezioni della pianta secca dipinta d’oro, oppure fresca, vengono vendute ovunque come simbolo beneaugurante per la ricorrenza più importante dell’anno.
Riti portafortuna sotto il vischio
Nel Medioevo invece era una delle piante magiche del Solstizio d’estate, e veniva usata per diversi riti propiziatori. Ad esempio in Galles se ne metteva un rametto per stimolare i sogni profetici, alla vigilia del Solstizio. Il succo delle bacche, vischioso e appiccicoso, veniva usato come trappola per catturare gli uccelli; ma anche per fare innamorare un uomo, bagnandogli la fronte
Tenuta in casa la pianta porta benessere, salute, fortuna e denaro; portano amore e gloria se si portano addosso tre bacche (in un sacchettino di tela) legate insieme con un filo di colore rosso. Non dimenticate inoltre l’usanza, ancora oggi in voga, di appendere un ramo di vischio sotto il quale scambiarsi promesse e baci.