Il cibo, una volta non era espressione degli affetti?

Il cibo, una volta non era espressione degli affetti?

Non mi piace la cucina modaiola che si vede in TV, e questi chef che fanno i divi sfoggiando piatti tecnologicamente perfetti, complicati, ipersofisticati, frullati, sminuzzati e poi “allestiti” in un enorme piatto con scenografie d’effetto. Mi piace invece il cibo semplice, quello di una volta, preparato per nutrire e non per stupire.

Il cibo una volta era espressione e comunicazione degli affetti, oggi invece ha perso molto del suo profondo significato.

Il cibo? Una volta era espressione degli affetti
Il cibo? Una volta era espressione degli affetti

La cucina semplice, quella di una volta

Mi piacciono le zuppiere tramandate dalle nonne, i piatti della giusta misura, le pietanze familiari di tutti i giorni tramandate da solide e rassicuranti tradizioni domestiche. Quella cucina che non si preoccupa del peso, delle misure e degli attrezzi adatti, ma viene fatta a occhio, tenendo conto dell’istintività dei gesti e dei dosaggi perchè ripetuti un’infinità di volte.

Quanti ricordi legati alla cucina! E quante memorie infantili sono legate strettamente con l’odore di alcune pietanze, il sapore, il colore, gli oggetti, i luoghi, i tavoli, gli arnesi semplici e le persone che lo preparavano con amore.

La torta che ci faceva trovare la nonna al rientro da scuola, di cui pregustavamo il sapore già fin dalla soglia di casa solo sentendone il profumo; la pasta fresca lavorata insieme alla mamma la domenica mattina; i ricchissimi pranzi delle feste di Natale; quelli freschi e appetitosi che ci preparava la zia in vacanza; la frutta matura colta e mangiata sul posto in un assolato ponmeriggio d’estate.

Le memorie infantili

Altri ricordi suscitano un pizzico di malinconia, quando si collegano agli insipidi piatti dell’ospedale, oppure a un malessere causato da cibo avariato, a una cena trascorsa in un silenzio rabbioso, un panino consumato in piedi frettolosamente in attesa al pronto soccorso, e così via.

Dunque, basta anche il piatto più semplice per evocare antiche emozioni: attesa, gioia, ritualità, amore, allegria e coccole; oppure freddezza, angoscia, disagio, distanza e solitudine. Quanti ne abbiamo legati alla cucina?

Quanti ricordi legati al cibo!

Ma se il cibo cambia nel tempo, diventando un protagonista patinato, alcuni ricordi restano intatti per fortuna: vedo il grande patio sotto un pergolato al calar del sole, ricoperto da un rigoglioso glicine che diffonde il suo profumo ovunque, regalando ai presenti quasi un senso di stordimento.

Al centro, un tavolo rustico ricoperto da una tovaglia a quadretti e dei piatti semplici; forse pane, formaggio e salame, delle polpette appena fritte, peperoni arrostiti sulla brace e una buona bottiglia di vino, che concilia le confidenze e rende languidi e disponibili. Pochi allegri commensali, amici o parenti, seduti a chiacchierare in tutta rilassatezza di argomenti futili, ma anche importanti.

E mi rivedo abbandonata sullo schienale di una sedia (di quelle rustiche di una volta, tutta di legno e impagliata, scricchiolante sotto il mio scarso peso) leggermente allungata in avanti, con le gambe sotto il tavolo. Assorta nei miei pensieri di bimba, ma abbastanza attenta da captare il senso dei discorsi delle persone che sono con me.

Intanto tendo l’orecchio, cercando di non cedere al sonno, nel tentativo di capire se quel suono a me tanto familiare è prodotto dai grilli, oppure se lo immagino soltanto. Mentre il cielo diventa di un blu sempre più cupo, e si intravede il luccichio delle prime stelle, qua e là…

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