Superstizioni antiche: storia, curiosità e origini

Superstizioni antiche: storia, curiosità e origini

“La superstizione mette il mondo intero in fiamme, la filosofia le spegne”, scriveva Voltaire nel 700, illuminista, filosofo e paladino della razionalità. Eppure gli italiani continuano, ancora oggi, a fare gli scongiuri se un gatto nero attraversa la loro strada. Così come non passano sotto una scala appoggiata a un muro. Del resto, non c’è da stupirsi: in quanto a superstizioni in Europa siamo al terzo posto, dopo cechi e lettoni. Molte credenze sono antichissime, ma quali sono le origini di quelle più famose?

Superstizioni e scaramanzie: storia, curiosità e origini
Superstizioni e scaramanzie: storia, curiosità e origini

Le origini di alcune antichissime superstizioni

La scala: un timore che risalirebbe al Medioevo. Se era appoggiata al muro formava un triangolo, simbolo sacro e inviolabile della Trinità che appare in diverse religioni: nell’antico Egitto, ad esempio, Orus era definito anche “Dio della scala” perchè dava il suo sostegno ai defunti. Nella Bibbia quella sognata da Giacobbe portava in cielo, mentre per Maometto le anime dei giusti salgono verso Allah lungo una scalinata.

Gatto nero: un portatore di iella, soprattutto quando attraversa la strada di un passante. Per scaramanzia si devono fare tre passi indietro, poi si riprende il cammino. O aspettare che passi da lì un’altra persona, attirando su di sé la sfortuna. Sono antiche superstizioni tipicamente latine, le cui radici risalgono al Medioevo, quando il gatto nero veniva associato al demonio e al male. All’origine della credenza pare ci fosse la capacità dei felini di vedere al buio. Tanto è vero che, nel 1233, fu emanata una bolla con la quale papa Gregorio IX autorizzava lo sterminio dei gatti neri, in “nomine Dei”.

L’ombrello: mai aprire un ombrello in casa, potrebbe attirare sventura e miseria sull’intera famiglia. Le origini risalgono a quando si tenevano aperti per ripararsi dall’acqua che fuoriusciva dai tetti rotti, ma anche perchè ricordava il “baldacchino” che si teneva sulla testa del prete durante l’estrema unzione ai moribondi.

Sette anni di disgrazia per lo specchio rotto

Specchio rotto = 7 anni di sventura: la credenza è legata al valore simbolico dello specchio, un oggetto ritenuto “magico” perchè capace di duplicare cose e persone. Come tutte le superfici riflettenti, fin dall’antichità è stato considerato carico di poteri magici. Forse si è sviluppata quando si pensava che infrangere l’immagine riflessa, in qualche modo, potesse fare del male alla persona stessa o addirittura ucciderla. I 7 anni di disgrazie conseguenti alla rottura dello specchio sono frutto della credenza degli antichi romani, per i quali la vita di un uomo si rinnova ogni 7 anni.

Il sale: anticamente il sale era considerato preziosissimo (il termine “salario” infatti deriva da questa parola), tanto che farne cadere solo qualche granello significava perdere del denaro. Gli antichi romani spargevano sale sulle macerie delle città conquistante in battaglia. Il sale infatti rende sterile il terreno, quindi significava impedire loro di tornare a prosperare. Da qui nasce la credenza che se cade per terra porta povertà e sfortuna. Lo scongiuro più noto (ma di origine incerta) è quello di gettarsene tre (un numero magico) pizzichi dietro alle spalle. In questo modo si credeva di allontanare la maledizione.

Infine il malocchio: questo viene inteso come una “maledizione lanciata attraverso lo sguardo”, una superstizione nata sulle coste orientali del Mediterraneo, citata già nel VIII secolo a. C anche dal mitografo greco Esiodo. Ma sono tante le culture che attribuiscono allo sguardo un grande potere.

Il timore che gli occhi potessero lanciare influssi malefici, nel tempo è stato associato a uomini con occhiali scuri, strabici, persone con capelli rossi e zingari. Per proteggersi si sputava tre volte a terra (lo sputo veniva considerato un atto purificatorio, mentre il tre era sacro nel cristianesimo). Ma non solo: come scongiuro si potevano anche fare le corna (ancora attuale) tenere in tasca un dente di maiale, segnarsi tre volte con uno spicchio d’aglio o toccarsi i genitali.

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